Bomarzo, il parco dei mostri e la Divina Commedia
di Anna Maria Barbaglia
È un piccolo paese in provincia di Viterbo arroccato su uno sperone di tufo originato dalle colate laviche dell’apparato Cimino. Le pendici delle piccole zone pianeggianti sono costituite da blocchi delle argille che, col tempo, si sono disgregate a causa degli eventi atmosferici e tali blocchi sono stati utilizzati dagli abitanti del sito sin dai primordi, ma anche nel periodo etrusco, romano e medievale per i comuni usi della vita sociale.
Attraverso gli oggetti ritrovati durante gli scavi archeologici (per la verità non molti) quali ceramiche, bronzi, sarcofagi soprattutto nella necropoli di Pianmiano, è stato possibile ricostruire la vita della città. Tali ritrovamenti dimostrano anche una vita abbastanza intensa. Si è parlato anche di un villaggio villanoviano, ma in realtà, nulla è stato ritrovato relativamente a questa fase.
Il centro, vista la sua posizione, è sorto soprattutto con la funzione di controllo sulle vie commerciali dell’Etruria da e verso Roma. Sembrerebbe che la sua origine sia avvenuta intorno al VI secolo a. C. in concomitanza con Ferento.
Molto stretti sono stati i rapporti con centri più importanti come Orvieto, Chiusi e Perugia.
Nonostante i disaccordi interni e le lotte del periodo dovute alla romanizzazione del territorio, il centro continuava la sua crescita tra il IV ed il III secolo a.C. Nel 310 a C. ha luogo la prima battaglia del lago Vadimone cui segue la distruzione dei centri più ribelli per opera del console e condottiero P. Decio Mure e, qualche anno dopo, una definitiva battaglia, nello stesso luogo, segna il definitivo inserimento del territorio nella sfera romana.
Non sono stati molti gli studi effettuati per scoprire l’esatta ubicazione del territorio etrusco e si è accettato quanto affermato da Frate Annio da Viterbo che, verso la fine del 1400, aveva indicato la località nel “Planum Meonianum” da cui deriva Pianmiano. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce soltanto tombe e necropoli, poco o niente che potesse riguardare edifici e/o ville.
Sembra che nel VI secolo d.C. la località fosse conosciuta con il nome di Polimartyum da cui poi, Bomarzo, mentre si ignora completamente quale fosse il nome nel periodo etrusco. In ogni caso si può dire che Bomarzo ebbe un grande passato e la dimostrazione di ciò la ritroviamo nel fatto che fu sede vescovile che ha dato anche un Pontefice: Papa Sabiniano (604-606), il successore di San Gregorio Magno. Vescovo di tale Diocesi fu anche Sant’Anselmo, protettore di Bomarzo che fu eletto per acclamazione Episcopum, Dominum, Pastorem e con questi titoli si oppose a Totila ed ai Goti. Si presume che la sua morte possa essere avvenuta intorno al VI secolo e, dopo circa un millennio, il suo corpo fu riesumato per essere collocato sotto l’altare maggiore. L’ultimo vescovo
della Diocesi fu Lamberto che nel 1015 sottoscrisse i Documenti Concilari con il titolo di Episcopum Polimartiensis.
Nel panorama della cittadina domina il grandioso palazzo Orsini la cui importanza crebbe nel tempo fino a quando la famiglia fu soppiantata da quella dei Farnese che, come vedremo, vide accrescere le proprie fortune soprattutto durante il pontificato di Paolo III. Le due famiglie (Orsini e Farnese) si unirono, come spesso accadeva in quel periodo, attraverso il matrimonio tra Pier Francesco II Orsini detto il Vicino e Giulia Farnese (1544) figlia di Galeazzo Farnese, Duca di Latera e parente di Paolo III. La coppia visse nel palazzo di Bomarzo e nel così detto “Sacro Bosco”.
Oggi Bomarzo si identifica proprio in quello che oggi è chiamato “Parco dei Mostri”.
All’ingresso di questo particolarissimo giardino possiamo ancora leggere: “Voi che pel mondo gite errando vaghi di veder meraviglie alte e stupende, venite qua ove tutto vi parla d’amore e d’arte”… la scritta è del XVI secolo quando fu creato questo labirinto costellato di enormi meraviglie che si stagliano tra la vegetazione e che è possibile ammirare in tutta la loro maestosità.
Era il 1552 quando il Vicino iniziò a pensare ad un qualcosa di grandioso ed affidò l’incarico del progetto all’architetto Pirro Logorio, lo stesso che portò a termine la Basilica di San Pietro dopo la morte del Michelangelo.
Sono molti gli studiosi che assimilano il “Sacro Bosco” ad una sorta di percorso iniziatico: le metafore incarnate nelle figure e la disposizione delle stesse che non sembrerebbe casuale, ma ragionata proprio con lo scopo di creare una tensione emotiva e spirituale verso la purificazione non certo scevre dall’esoterismo. Un gioco di richiami alla mitologia, all’enigma, statue, sirene,
mostri marini, tartarughe giganti, satiri, sfingi, draghi, maschere, tempietti…e, credo, a Dante Alighieri.
Quello del Sacro Bosco, a detta di molti studiosi, rappresenta una sorta di percorso purificatore.
Sono due sfingi a dare il benvenuto e su una di esse compare la scritta: “Tu ch’entri qua pon mente parte a parte e dimmi poi se tante meraviglie son fatte per inganno o per arte”… : è quasi un monito per lo spirito che non deve pensare alle apparenze, ma deve cercare il profondo significato presente in ogni scultura.
Prendendo il sentiero verso destra si incontra una delle prime smisurate figure, un gigante, forse Ercole, che squarcia la sua vittima, forse Caco, lacerandola.
Subito dopo vi sono opere spettacolari che affondano le loro radici nella mitologia: un pesce, una tartaruga, un cavallo alato. Continuando il cammino ci appare una delle opere più curiose, la “Casa Pendente” che potrebbe simboleggiare la sensazione di vertigine, di smarrimento, la perdita di certezze che si può provare quando si è alla ricerca di qualcosa che rappresenti l’assoluta verità.
Si incontrano altre figure enigmatiche: un mostro marino con le fauci spalancate che alcuni identificano nel Dio del Mare Nettuno, mentre altri in Plutone, Dio degli Inferi, poi… la “Panca Etrusca” dove è scolpita la frase: “Voi che pel mondo gite errando, vaghi di veder meraviglie alte e stupende, venite qua dove son faccie horrende, elefanti, leoni, orsi e draghi”…
Un drago, un elefante e, sullo sfondo, quello che oggi è diventato il simbolo del Parco, il famoso “Mascherone”. Alcuni lo vedono come un enorme orco, altri addirittura come la porta degli Inferi. Le fauci spalancate permettono l’ingresso in una piccola stanza dal tetro aspetto. Colpisce la frase scolpita sulle labbra “Ogni pensiero vola” (la ragione non basta per comprendere il significato della
vita).
Sempre proseguendo lungo una leggera salita, si arriva alla mèta finale del percorso e si incontra
il Cerbero, il cane a tre teste quasi a rappresentare il guardiano del parco, ma anche il monito verso le false conoscenze.
Si arriva, infine, al Tempietto costruito in stile dorico dal soffitto decorato con i classici gigli farnesiani e le rose degli Orsini a ricordo dell’unione del 1544, forse questa costruzione vuole significare un atto d’amore del Vicino per Giulia.
Sulla sommità del sentiero si trova la testa di un mostro marino con in cima un globo decorato con i simboli araldici degli Orsini ed un castello, forse quello di Bomarzo stessa.
La cosa certa è che le motivazioni di tale scelta architettonica rappresentano ad oggi, un mistero e la stessa frase che abbiamo citato all’inizio, voluta dallo stesso Vicino, è ambigua e inquietante.
Per lungo tempo, dopo la morte dell’Orsini, il parco fu abbandonato e la vegetazione ricoprì tutti i suoi misteri. La sua riscoperta la si deve, forse, a Salvador Dali’ che sembra si sia ispirato a questi mostri per una delle sue opere.
Forse il creatore delle sculture di cui ho or ora parlato ha tratto spunto, oltre che dalla mitologia, anche dal percorso di Dante della Divina Commedia e chissà se quel parco pieno di figure mitologiche non rappresenti la “selva oscura” dell’Alighieri e la frase stessa, quella originale, “Lasciate ogni pensiero voi ch’entrate” non rassomigli al 9° verso del III canto dell’Inferno “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”.
Molti hanno cercato di capire con la logica questo cammino e molti studiosi hanno collegato gli elementi presenti nel parco con il percorso della Divina Commedia e quel luogo, un po’ come nell’opera di Dante, è stato definito come un itinerario iniziatico nel quale ciascun elemento presente rappresenta una tappa verso la purificazione.
Del resto, credo che anche Dante nel suo “viaggio” abbia sentito la necessità di “abbandonare” la ragione – ritenuta insufficiente – , in favore dell’intuizione e/o di qualcosa di più elevato per poter arrivare all’ultimo stadio del percorso rappresentato dal Paradiso.
Sono tante le statue gigantesche che si incontrano, lotte tra giganti, forse Proteo, Glauco, la Ninfa Dormiente e personaggi mitologici come Nettuno, Ercole e Caco, il Cerbero a tre teste e poi ancora un orco che con le sue fauci spalancate rappresenterebbe la porta degli inferi e la possibilità di entrare in una piccola stanza con un tavolo per poter mangiare. Mi chiedo: e la torre angusta dove fu rinchiuso il conte Ugolino della Gherardesca che nella Divina Commedia “banchettò” con le carni dei propri figli, c’entra qualcosa?
E poi ancora, il Cerbero che sembra presentarsi come spaventoso guardiano del Tempietto che potrebbe rappresentare il monito di un viaggio irto di asperità verso la conoscenza, anzi un avvertimento per non credere alla falsa conoscenza.
Dante parla del Cerbero nel VI canto dell’inferno e lo pone a guardia dei golosi, ma è anche un personaggio dell’Eneide di Virgilio (libro VI) e la descrizione dell’Alighieri si basa su quella del Maestro.
Ho parlato, nella descrizione, del parco della “Casa Pendente”. Ci sono entrata e la prima sensazione che ho provato sono state le vertigini, E Dante, per intraprendere il suo viaggio deve aver avuto anch’egli tale sensazione soprattutto per le vicende politiche in cui era coinvolto e che lo condussero all’esilio: bene, è la stessa sensazione di smarrimento e di perdita delle certezze in cui ognuno di noi si viene a trovare in particolari occasion,i quando si deve prendere il coraggio a quattro mani per reagire, raccogliendo tutte le forze necessarie per tentare di superare gli ostacoli che la vita ci pone davanti.
Le stesse tre figure che nel parco dei mostri sembrano voler impedire il passaggio, l’Echidna, madre del Cerbero (personaggio della mitologia greca e che, probabilmente rappresentava le corruzioni della terra quali putrefazione, melma, acque fetide, malattie…) con capo di donna e la parte inferiore del corpo a forma di serpente, due leoni affiancati e la Fiera Alata potrebbero essere paragonate alle tre fiere che ostacolano il cammino di Dante (lonza inf. I,32; leone inf. I, 45; lupa inf. I, 45).
Le varie figure enigmatiche che si incontrano lungo il percorso del parco rappresenterebbero proprio le prove che l’anima umana deve superare per ottenere la perfezione.
D’altra parte anche il viaggio di Dante rappresenta, secondo me, la lacerazione dell’animo umano che si purifica attraverso tutto il percorso delle tre cantiche.
Anna Maria Barbaglia